I militari specialisti Valerio e Davide colleghi a Padova. Marco il comandante

Scritto il 15/10/2025
da Patricia Tagliaferri

In prima linea perché esperti di esplosivi. Luongo: "Mai tante perdite da Nassiriya"

Era un'operazione ad alto rischio, si sapeva, visto come era andato il precedente tentativo di sgombero, con le minacce di farsi saltare in aria e le molotov che i tre fratelli tenevano sul tetto del casolare. Proprio per questo c'erano anche loro. Perché i tre carabinieri morti nell'esplosione di Castel d'Azzano erano esperti, aliquote di primo intervento. Erano in servizio nei reparti speciali, quelli in prima linea nelle situazioni pericolose. Il luogotenente Marco Piffari, il brigadiere capo Valerio Daprà e il carabiniere scelto Davide Bernardello erano stati chiamati a far parte della squadra che, con la polizia di Stato, doveva fare irruzione nel casolare, pignorato da anni. Non potevano immaginare, nonostante tutte le precauzioni prese e la massima allerta per l'intervento, che all'interno di quell'edificio fatiscente i tre fratelli destinatari di un ordine di rilascio erano pronti a tutto. Anche ad uccidere, saturando la casa di gas. Sono morti sul colpo, travolti dall'esplosione innescata dall'apertura della porta di ingresso.

Marco, Valerio e Davide: un comandante, un brigadiere e un giovane militare. Generazioni diverse dell'Arma unite dalla stessa tragica sorte. Per ricordarli qualcuno ha lasciato tre gigli bianchi davanti al Comando provinciale dei carabinieri di Verona. Condividevano lo stesso senso del dovere, la stessa dedizione per la divisa. Una missione, per loro, più che un mestiere. "Viviamo e moriamo all'ombra di chi ci sta a cuore e per chi non conosceremo mai", scriveva soltanto otto giorni fa Piffari. Era il più esperto dei tre, aveva 56 anni. Era nell'Arma dal 1987. Era separato e non aveva figli. Viveva a Sant'Ambrogio di Trebaseleghe, ma ogni giorno attraversava il Veneto per raggiungere il Battaglione Mobile di Mestre dove era comandante della Squadra Operativa Supporto del Quarto Battaglione Veneto. È qui che lavorava da oltre 12 anni nella protezione degli obiettivi sensibili e nel contrasto alla criminalità comune e organizzata. Sui social pubblicava spesso contenuti legati all'attività delle forze dell'ordine, ma condivideva anche frasi personali, come questa, che apriva la sua pagina Facebook: "La vita è troppo breve per infarcirla di bugie. Ecco a cosa do valore". A febbraio, un post scritto per ringraziare chi gli aveva fatto gli auguri di compleanno, suona ora come un cattivo presagio: "Spero di scrivervi per moltissime altre primavere".

Il brigadiere capo Daprà faceva parte, insieme a Bernardello, del nucleo operativo radiomobile della compagnia di Padova. Nato a Brescia, aveva anche lui 56 anni, separato. Sarebbe potuto andare in pensione, ma aveva deciso di restare. Aveva combattuto in Somalia e il 2 luglio del 1993 aveva preso parte al Checkpoint Pasta, il sanguinoso scontro a fuoco a Mogadiscio tra le truppe italiane e i ribelli in cui persero la vita tre nostri soldati. Lascia una compagna e due figli di 27 e 26 anni.

Davide Bernardello era il più giovane dei tre. Nato 36 anni fa a Camposampiero, viveva nel Padovano. Si era arruolato nel 2014 e faceva parte dell'aliquota di primo intervento del Nucleo radiomobile. Non aveva moglie e neanche figli. Fuori dal comando provinciale, dove era in servizio con il collega che ha condiviso la sua tragica sorte, le bandiere sono a mezz'asta in segno di lutto. Per assistere i familiari delle tre vittime e i feriti, l'Azienda universitaria ospedaliera di Verona ha attivato dei team di psicologi.

"Una tragedia che ha colpito l'Arma, ma che ha colpito tutto il Paese. Non abbiamo così tante perdite dalla strage del Pilastro e da Nassiriya", ha detto il comandante generale dell'Arma dei carabinieri, Salvatore Luongo, uscendo dal comando provinciale di Verona. Per i tre militari lutto nazionale e funerali di Stato.