Niente da fare, il confronto tra la magistratura e la politica è una partita impari e tra un pronunciamento e l'altro il doveroso bilanciamento tra poteri di uno Stato sta diventando uno sbilanciamento pericoloso per la democrazia. L'ultimo, di pronunciamento, è quello dei giudici della Corte di giustizia europea che accogliendo un ricorso dei colleghi italiani ha deciso che l'elenco dei "Paesi sicuri", quello cioè dove è possibile rimpatriare l'immigrato clandestino, non è di competenza del governo bensì del magistrato. Bene, anche un bambino capisce che a questo punto espellere un irregolare dal nostro Paese sarà praticamente impossibile stante l'evidente orientamento aperturista nei confronti della libertà incondizionata di immigrazione che i giudici italiani hanno più volte affermato. Quello che non si capisce è in base a quali conoscenze e competenze un tecnico della giustizia, quale è appunto un magistrato, possa valutare nelle sue complicazioni il grado di sicurezza di un Paese. Tale decisione, dice il buon senso, non può che essere in capo al potere politico - il governo - che ha tutti gli strumenti per valutare la questione da tutti i punti di vista in modo coerente con la cultura e la storia del Paese e il suo ruolo nello scacchiere internazionale. Perché in astratto nessun Paese può essere definito sicuro. Neppure gli Stati Uniti lo sono in quanto un eventuale reato lì può essere punito con la pena di morte che la nostra Costituzione bandisce categoricamente. Così come per un iraniano l'Italia non è un Paese sicuro: le sue leggi prevedono infatti il carcere per molti comportamenti che la legge islamica ritiene leciti o addirittura doverosi. Qui si sta scambiando il diritto naturale di una persona a emigrare con il diritto di immigrare: ogni cittadino - nei regimi socialisti non è così - dovrebbe potere lasciare il suo Paese, nessuno però dovrebbe avere il diritto di entrare in un altro alle sue condizioni. Se così non fosse tanto varrebbe abolire del tutto le frontiere e smantellare la sicurezza dello Stato. La politica serve proprio a questo, a stabilire le regole. La magistratura, in un Paese sano, dovrebbe limitarsi a farle applicare. L'inverso è cosa che sa di dittatura.